Esiste un altro Michael Phelps, è brasiliano ed oggi le
copertine di tutti i giornali brasiliani, ma anche britannici e di altri paesi
che hanno vera sensibilità ed anche vera passione per lo sport sono tutte
dedicate a lui perché questo ragazzo è un prodigio della natura e perfino i
brasiliani normalmente calciofili si sono commossi ed
entusiasmati per le sue imprese.
Si sono chiuse le gare dei Giochi Paralimpici di Londra ed
ancora una volta il grande protagonista è stato Daniel Dias, originario di
Campinas che ha fatto meglio di Pechino
(dove vinse 4 ori, 4 argenti ed un bronzo), vincendo sei medaglie d’oro con
altre due di bronzo sfuggitegli per due quarti posti nella staffetta e che lo
avrebbero consacrato perfettamente alla pari, anche numericamente con il cannibale
di Baltimora che ha vinto otto medaglie d’oro proprio a Pechino nel 2008.
«Era un sabato come tutti gli altri, se non per un piccolo
sanguinamento, in cui ha inizio la storia di un ragazzo che è nato a 37
settimane della gravidanza, con un peso di 1,970 Kg e 41 pollici. Quando Daniel
è nato, ho pianto molto. Più tardi mi è stato comunicato che mio figlio era un
bimbo e non aveva né piedi né mani. Ho pianto molto ed ho chiesto forza a Dio.
Quando mi sono alzata e sono potuta andare da lui, quei corridoi sembravano
senza fine. Quando fui di fronte a lui, lo accarezzai e lo vidi sorridere».
È uno stralcio del profilo biografico che Daniel ha fatto
scrivere sul suo sito ai suoi genitori con i ricordi terribili di operazioni,
lunghi soggiorni a S. Paolo per testare le protesi che puntualmente distruggeva
ed imparare a camminare, lunghi anni di educazione fisica e di sacrifici mentre
proseguiva regolarmente gli studi e si dedicava alle attività che praticavano
tutti i bambini. Poi la passione per il nuoto scoperta a 16 anni e di lì
l’inizio di una incredibile carriera che lo ha portato a diventare uno degli
atleti più forti della storia nel nuoto paralimpico, detentore di quattro
record mondiali in diverse specialità.
«Ho sempre accettato la mia disabilità ed ho pensato che Dio
mi avesse voluto così per uno scopo. e Ho scelto di essere ugualmente felice. E’
una semplice scelta, il resto è fede e determinazione» dice Daniel, come sempre
modesto, sorridente, fisico normale, vagamente somigliante a Ronaldo ed in ogni sua frase non mancano mai le parole felicità,
famiglia e Dio. «Sono contento perché la gente non rispetta solo me ma anche il
Brasile e tutti gli sforzi e gli investimenti su questo sport e sul movimento
paralimpico», un movimento che in questi giochi ha classificato il paese al
settimo posto nel medagliere e che ora, come Daniel, non vede l’ora che arrivi
il 2016.
Lui tornerà a casa, disputerà i campionati mondiali di nuoto
per vincere ancora e nel frattempo, come ha sempre fatto, continuerà a girare
per gli ospedali, le chiese, i centri di riabilitazione del suo paese, per
convincere altri bambini che si può essere felici ugualmente e che credendoci
si può anche diventare grandi campioni, qualcosa in più di Usain Bolt e Michael
Phelps, con due gambe e due braccia in meno.
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