mercoledì 5 settembre 2012

Colombia: Santos e Farc avviano lo storico processo di pace




Le FARC si arrendono, o quasi. L’ultima frontiera del vecchio terrorismo di ideologia marxista ha firmato uno storico accordo per l’inizio di nuovi colloqui di pace con il governo colombiano presieduto da Juan Manuel Santos, con due garanti d’eccezione, il capo del governo cubano Raul Castro ed il primo ministro norvegese Jens Stoltenberg.

Si svolgeranno infatti prima ad Oslo in ottobre e poi a L’Avana gli incontri fra il presidente Santos ed una rappresentanza delle FARC (guidata da uno dei leader, Ivan Marquez) coperta ovviamente da una particolare immunità e soprattutto la scelta della sede europea fa già riflettere sul carattere molto più serio e decisivo di questi colloqui di pace rispetto a quelli avvenuti dal 1998 al 2002 con il governo di Andres Pastrana, poi finiti nel nulla ed alle finte trattative che accompagnavano  gli accordi per il rilascio di prigionieri, voluti da Alvaro Uribe, il più grande fustigatore dei ribelli colombiani.

L'ultima sfida di Frate Raul, il ribelle




Non capita tutti i giorni di assistere ad una messa dove l’altare si trasforma in dibattito politico, invettiva contro i Cartelli del Narcotraffico, il Governo, i politici locali corrotti e perfino contro gli stati del Sud dell’America e dove i possidenti vengono guardati sottecchi dai praticanti fissi: omosessuali, immigrati, tossicodipendenti schiavi dei grandi entourage malavitosi. 

martedì 4 settembre 2012

La suerte de las Islas Falklands/Malvinas en un referendum




Será un referendum a decidir aquél que años y años de crisis diplomáticas, acusaciones recíprocas y hasta una guerra, que hace treinta años causó acerca de1.000 muertos, el doble de los heridos y veinte días de terror en dos países de un lado al otro del océano, no han sabido solucionar.

El Consejo Ejecutivo de las Islas Falkland/Malvinas ha aprobado oficialmente por marzo de 2013 el desarrollo de un referendo sobre la soberanía del archipiélago del Oceano Atlántico, ya decidida el pasado junio, aunque la fecha precisa será definida por el jefe de gobierno Keith Padgett y la comisión electoral británica respaldará el regular desarrollo de la consulta y Gran Bretaña financiará la entera operación electoral pero serán admitidos observatorios de todo el continente, el único auténtico dudosa arista la real recíproca aceptación del resultado.

A la consulta podrán participar a todos los habitantes de las islas, que tiene una población de acerca de 3.000 habitantes (como un pequeño país de provincia) qué han superado los dieciocho años de edad y que generalmente son todos de lengua inglesa, huéspedes en un escenario latinoamericano, pero bien decididos a conservar la misma autonomía, concedida del gobierno británico, de que sustancialmente hacen parte justo a causa del conflicto del 1982 entre Argentina y Gran Bretaña.

En los meses pasados los dos países se hubieron de nuevo confrontados diplomáticamente por la soberanía de las islas y mientras Cristina Fernandez Kirchner reivindicó el apoyo, seppur blando, de las Naciones Unidas y de las resoluciones sobre la descolonización, Cameron ha rechazado cualquiera ulterior acuerdo o declaraciones unilaterales, posponiendo cada decisión justo al referendo del próximo año e intimando el fin de cualquier bloque comercial actuado de la Argentina y de muchos países suramericanos hacia Port Stanley.

Las Islas son una gran equivocación:  cedidas por Francia a España, después de la independencia argentina y poblado solamente de pocos pescadores argentinos, fueron proclamadas territorio argentino en el 1820, pero los argentinos fueron cazados cuando Gran Bretaña y EE.UU. iniciaron sus envíos en Antártica y englobaron, como establecido por las convenciones internacionales, las zonas marítimas y territoriales correspondientes al gajo de exploración y a nada sirvieron negociaciones y recíprocas concesiones:  nadie dejó hasta la ocupación argentina y a la siguiente guerra.

Hoy los Falklands/Malvinas, más allá del símbolo del orgullo de la Corona y el patriotismo argentino, soy un importante enlace comercial y un punto de referencia en llave petrolífera además de susodichos derechos sobre Antártica y sobre la posible explotación de los innumerables recursos del lugar además del melocotón que, sobre las Islas y en buena parte del sur de la Argentina, en la faja costera queda una rica y exclusiva actividad.

Il destino delle Falklands/Malvinas in un referendum



Sarà un referendum a decidere quello che anni ed anni di crisi diplomatiche, accuse reciproche e perfino una guerra, che trenta anni fa causò circa 1.000 morti, il doppio dei feriti e venti giorni di terrore in due paesi da un lato all’altro dell’Oceano, non hanno saputo risolvere.

Il Consiglio Esecutivo delle Isole Falkland/Malvinas ha approvato ufficialmente per marzo 2013 lo svolgimento di un referendum sulla sovranità dell’arcipelago dell’Oceano Atlantico, già decisa lo scorso giugno, anche se la data precisa sarà definita dal capo di governo Keith Padgett e la commissione elettorale britannica supporterà il regolare svolgimento della consultazione e la Gran Bretagna finanzierà l’intera operazione elettorale ma saranno ammessi osservatori di tutto il continente, l’unico vero dubbio resta la reale reciproca accettazione dell’esito.

Alla consultazione potranno partecipare tutti gli abitanti delle isole (che ha una popolazione di circa 3.000 abitanti, come un piccolo paese di provincia) che hanno superato i diciotto anni d’età e che perlopiù sono tutti di lingua inglese, ospiti in uno scenario latinoamericano, ma ben decisi a conservare la propria autonomia, concessagli dal governo britannico, di cui sostanzialmente fanno parte proprio a seguito del conflitto del 1982 fra Argentina e Gran Bretagna.

Nei mesi scorsi i due paesi si erano di nuovo confrontati diplomaticamente per la sovranità delle isole e mentre Cristina Fernandez Kirchner aveva rivendicato l’appoggio, seppur blando, delle Nazioni Unite e delle risoluzioni sulla decolonizzazione, Cameron ha rigettato qualsiasi ulteriore accordo o dichiarazioni unilaterale, rinviando ogni decisione proprio al referendum del prossimo anno ed intimando la fine di qualsiasi blocco commerciale attuato dall’Argentina e da molti paesi sudamericani verso Port Stanley.

Le Isole sono un grande equivoco: cedute dalla Francia alla Spagna, dopo l’indipendenza argentina ed abitate soltanto da pochi pescatori argentini, furono proclamate territorio argentino nel 1820, ma gli argentini furono cacciati quando Gran Bretagna ed Usa iniziarono le loro spedizioni nell’Antartide ed inglobarono, come stabilito dalle convenzioni internazionali, le zone marittime e territoriali corrispondenti allo spicchio di esplorazione ed a nulla servirono negoziati e reciproche concessioni: nessuno mollò fino all’occupazione argentina ed alla successiva guerra.

Oggi le Falklands/Malvinas, al di là del simbolo dell’inattaccabilità della Corona e del patriottismo argentino, sono un’importante svincolo commerciale ed un punto di riferimento in chiave petrolifera oltre ai suddetti diritti sull’Antartide e sul possibile sfruttamento delle innumerevoli risorse del luogo oltre alla pesca che, sulle Isole e in buona parte del sud dell’Argentina, nella fascia costiera resta una ricca ed esclusiva attività. 

sabato 1 settembre 2012

I giudici confermano la vittoria di Peña Nieto




Tutto è deciso: dal 1° dicembre Enrique Peña Nieto sarà il nuovo presidente del Messico, come lo fu sei anni fa Felipe Calderon, con strascichi giudiziari, compravendite vere o presunte di voti, minacce di loschi figuri legati ai narcos a livello locale ed una parte del popolo che alla fine si è rassegnata, consapevole che non era ancora tempo di cambiamento. 
Il Tribunale Elettorale Messicano ha confermato all’unanimità la piena regolarità delle elezioni e la vittoria di Peña Nieto con sei punti di vantaggio sullo sfidante Andres Manuel Lopez Obrador del Partito Rivoluzionario Democratico di sinistra alla sua seconda sconfitta: nessuna irregolarità, nessuna prova schiacciante di brogli e pressioni per modificare l’esito del voto (cosa, quest’ultima, che pur acclarata non sarebbe potuta essere motivo di annullamento). «Non è possibile sottomettere il diritto al capriccio personale, infrangerlo o snaturalizzarlo», ha detto il presidente del Tribunale Alejandro Luna chiudendo le speranze a qualsiasi ripensamento.
In realtà un cambio però c’è stato: dal Partito d’Azione Nazionale uscito con le ossa rotta dal governo fallimentare di dodici anni in tema di sicurezza al Partito Rivoluzionario Istituzionale che torna al potere dopo aver governato dal 1921 al 2000, ma ciò che non è cambiato è il dubbio del marciume della classe politica e sarà difficile che ricorsi, peraltro tutti respinti, movimenti ed inviti alla disobbedienza civile possano funzionare. Anzi il pericolo è che possa scaturirne un caos ancora più pericoloso.
Si moltiplicano ora, da un lato gli appelli all’unità del paese ed all’inizio di un nuovo corso e dall’altro gli inviti alla disobbedienza civile contro un esito elettorale falsato ed un uomo che ha conquistato illegittimamente il potere, lanciati dal candidato dell’opposizione e dal Movimento giovanile di origine universitaria YoSoy132 grande protagonista del dibattito pre-elettorale e di una seria stagione di contestazione per la legalità, i diritti e la buona politica.
A poco serve dire però che Enrique Peña Nieto è stato un candidato-fantoccio supportato dalla grande dittatura televisiva di Televisa ed Atzeca Tv, se alla fine non ci sarà una vera mobilitazione popolare per chiedere una riforma televisiva che non incanti i messicani con famose novelas e personaggi televisivi prestati alla politica e comunque è più importante accertare se il nuovo presidente sarà quello della mano morbida e della possibile trattativa con i cartelli dei Narcos (dopo la mano dura inutile di Calderon).
In ogni caso non è Lopez Obrador a poter guidare questa protesta: troppo debole, ormai politicamente vecchio e per giunta sconfitto per due volte, anche nel 2006 in modo assolutamente beffardo e forse più incerto di oggi ed inoltre non ha più l’appoggio di molti esponenti del suo partito e di molti movimenti, che vedono in Marcelo Ebrard, il sindaco di Città del Messico un nuovo leader per una storica prima vittoria e che nel frattempo hanno accettato il verdetto del Tribunale Elettorale.  

Martini, il Nuovo Mondo e quell'occasione perduta




Se cliccate su Google diverse volte il nome del Cardinale Carlo Mario Martini, ci troverete di fianco un altro nome, quello di Jorge Bergoglio, primate di Buenos Aires ed il legame non è casuale, sebbene l’Arcivescovo Emerito non si sia mai recato a lungo in America Latina.

Se mai ci fossero dubbi sul progressismo, il carisma e l’intelligenza dell’uomo a tali latitudini, il Conclave del 2005 fu sicuramente emblematico, perché fu proprio in quella circostanza che Martini, pur rinunciando al Papato per sé stesso, per dedicarsi agli studi a Gerusalemme e soprattutto per la malattia di Parkinson che avanzava si impegnò a cercare, purché senza dolore, una soluzione riformatrice e la trovò in Jorge Bergoglio.

Lui, come Martini, veniva dalla scuola gesuita, dai terribili delle dittature e del terrorismo, da un paese con notevoli squilibri sociali, da una metropoli complessa con grandi spinte culturali ma anche enormi contrasti come Buenos Aires (un po’ come la Milano che accolse all’inizio degli anni Ottanta il Cardinale Martini e ne fu conquistata), ma soprattutto anche lui convinto di una reale spinta riformatrice della Chiesa, andando oltre il Concilio Vaticano II: sacerdozio femminile, revisione del celibato sacerdotale, fine vita, contraccezione anti-Aids. La cosa non andò in porto, ma lui continuò a lavorare umilmente dietro le quinte ed in America Latina lo sapevano e lo conoscevano. Era una voce importante per loro a Roma.

Non è un caso che sia stato il primate argentino fra i porporati internazionali uno dei più celeri a ricordare il cardinale italiano insieme al quale ha sempre respinto qualsiasi riferimento a quel Conclave, alla rinuncia di entrambi, consapevoli che un duello ad oltranza con la candidatura di Ratziger, avrebbe dilaniato la Chiesa Cattolica a soli pochi giorni dalla perdita di un leader carismatico come Giovanni Paolo II

. «Era un uomo che sapeva ascoltare e dialogare ed è stato una grande intuizione di Giovanni Paolo II. Il lavoro che ha fatto con l’esegesi della Parola di Dio ha aperto numerosi cuori», ha detto l’arcivescovo di Buenos Aires ricordando il grande lavoro nella complessa Diocesi di Milano che lo rese il primo catechista ed un punto di riferimento importante per credenti e non credenti e la dignità e la diligenza con cui ha saputo affrontare la malattia e rinunciare ad alte cariche (forse un riferimento anche a quel famoso Conclave) «perché era un uomo non aggrappato alle cariche».

Il continente latinoamericano saluta oggi l’anima progressista e dialogante della Chiesa Cattolica, l’uomo che supportava il papato terzomondista o del Nuovo Mondo, che sostenne Hummes nella sua tesi sul celibato clericale che destò scandalo nella Curia Romana, che apprezzò apertamente Romero, ancora scomodo per parte della Chiesa, definendolo un vescovo educato dal popolo, perché dal popolo aveva tratto forza ed insegnamento per attuare appieno i principi della Bibbia e la missione di Cristo.

Sulla Teologia della Liberazione ebbe a dire «I cristiani che adottano "l’opzione a favore dei poveri" di Gesù devono ancora oggi aspettarsi persecuzioni. Dai teologi della liberazione in Sudamerica, agli operatori sociali nei Paesi del benessere. Gesù ha dato la vita per la giustizia. Si è schierato dalla parte dei poveri, dei sofferenti, dei peccatori, dei pagani, degli stranieri, degli oppressi, degli affamati, dei carcerati, degli umiliati, dei bambini e delle donne. Chi si comporta così dà fastidio». Un emblema della sua vita. E non sono pochi oggi quelli che guardano a quel 2005 come un’occasione irripetibile e pensando al Papa che non fu, oggi pregano con un singhiozzo in più.