sabato 1 settembre 2012

Martini, il Nuovo Mondo e quell'occasione perduta




Se cliccate su Google diverse volte il nome del Cardinale Carlo Mario Martini, ci troverete di fianco un altro nome, quello di Jorge Bergoglio, primate di Buenos Aires ed il legame non è casuale, sebbene l’Arcivescovo Emerito non si sia mai recato a lungo in America Latina.

Se mai ci fossero dubbi sul progressismo, il carisma e l’intelligenza dell’uomo a tali latitudini, il Conclave del 2005 fu sicuramente emblematico, perché fu proprio in quella circostanza che Martini, pur rinunciando al Papato per sé stesso, per dedicarsi agli studi a Gerusalemme e soprattutto per la malattia di Parkinson che avanzava si impegnò a cercare, purché senza dolore, una soluzione riformatrice e la trovò in Jorge Bergoglio.

Lui, come Martini, veniva dalla scuola gesuita, dai terribili delle dittature e del terrorismo, da un paese con notevoli squilibri sociali, da una metropoli complessa con grandi spinte culturali ma anche enormi contrasti come Buenos Aires (un po’ come la Milano che accolse all’inizio degli anni Ottanta il Cardinale Martini e ne fu conquistata), ma soprattutto anche lui convinto di una reale spinta riformatrice della Chiesa, andando oltre il Concilio Vaticano II: sacerdozio femminile, revisione del celibato sacerdotale, fine vita, contraccezione anti-Aids. La cosa non andò in porto, ma lui continuò a lavorare umilmente dietro le quinte ed in America Latina lo sapevano e lo conoscevano. Era una voce importante per loro a Roma.

Non è un caso che sia stato il primate argentino fra i porporati internazionali uno dei più celeri a ricordare il cardinale italiano insieme al quale ha sempre respinto qualsiasi riferimento a quel Conclave, alla rinuncia di entrambi, consapevoli che un duello ad oltranza con la candidatura di Ratziger, avrebbe dilaniato la Chiesa Cattolica a soli pochi giorni dalla perdita di un leader carismatico come Giovanni Paolo II

. «Era un uomo che sapeva ascoltare e dialogare ed è stato una grande intuizione di Giovanni Paolo II. Il lavoro che ha fatto con l’esegesi della Parola di Dio ha aperto numerosi cuori», ha detto l’arcivescovo di Buenos Aires ricordando il grande lavoro nella complessa Diocesi di Milano che lo rese il primo catechista ed un punto di riferimento importante per credenti e non credenti e la dignità e la diligenza con cui ha saputo affrontare la malattia e rinunciare ad alte cariche (forse un riferimento anche a quel famoso Conclave) «perché era un uomo non aggrappato alle cariche».

Il continente latinoamericano saluta oggi l’anima progressista e dialogante della Chiesa Cattolica, l’uomo che supportava il papato terzomondista o del Nuovo Mondo, che sostenne Hummes nella sua tesi sul celibato clericale che destò scandalo nella Curia Romana, che apprezzò apertamente Romero, ancora scomodo per parte della Chiesa, definendolo un vescovo educato dal popolo, perché dal popolo aveva tratto forza ed insegnamento per attuare appieno i principi della Bibbia e la missione di Cristo.

Sulla Teologia della Liberazione ebbe a dire «I cristiani che adottano "l’opzione a favore dei poveri" di Gesù devono ancora oggi aspettarsi persecuzioni. Dai teologi della liberazione in Sudamerica, agli operatori sociali nei Paesi del benessere. Gesù ha dato la vita per la giustizia. Si è schierato dalla parte dei poveri, dei sofferenti, dei peccatori, dei pagani, degli stranieri, degli oppressi, degli affamati, dei carcerati, degli umiliati, dei bambini e delle donne. Chi si comporta così dà fastidio». Un emblema della sua vita. E non sono pochi oggi quelli che guardano a quel 2005 come un’occasione irripetibile e pensando al Papa che non fu, oggi pregano con un singhiozzo in più. 

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