Se cliccate su Google diverse volte il nome del Cardinale
Carlo Mario Martini, ci troverete di fianco un altro nome, quello di Jorge
Bergoglio, primate di Buenos Aires ed il legame non è casuale, sebbene l’Arcivescovo
Emerito non si sia mai recato a lungo in America Latina.
Se mai ci fossero dubbi sul progressismo, il carisma e l’intelligenza
dell’uomo a tali latitudini, il Conclave del 2005 fu sicuramente emblematico,
perché fu proprio in quella circostanza che Martini, pur rinunciando al Papato
per sé stesso, per dedicarsi agli studi a Gerusalemme e soprattutto per la
malattia di Parkinson che avanzava si impegnò a cercare, purché senza dolore,
una soluzione riformatrice e la trovò in Jorge Bergoglio.
Lui, come Martini, veniva dalla scuola gesuita, dai terribili
delle dittature e del terrorismo, da un paese con notevoli squilibri sociali,
da una metropoli complessa con grandi spinte culturali ma anche enormi
contrasti come Buenos Aires (un po’ come la Milano che accolse all’inizio degli
anni Ottanta il Cardinale Martini e ne fu conquistata), ma soprattutto anche
lui convinto di una reale spinta riformatrice della Chiesa, andando oltre il
Concilio Vaticano II: sacerdozio femminile, revisione del celibato sacerdotale,
fine vita, contraccezione anti-Aids. La cosa non andò in porto, ma lui continuò
a lavorare umilmente dietro le quinte ed in America Latina lo sapevano e lo
conoscevano. Era una voce importante per loro a Roma.
Non è un caso che sia stato il primate argentino fra i
porporati internazionali uno dei più celeri a ricordare il cardinale italiano
insieme al quale ha sempre respinto qualsiasi riferimento a quel Conclave, alla
rinuncia di entrambi, consapevoli che un duello ad oltranza con la candidatura
di Ratziger, avrebbe dilaniato la Chiesa Cattolica a soli pochi giorni dalla
perdita di un leader carismatico come Giovanni Paolo II
. «Era un uomo che sapeva ascoltare e dialogare ed è stato
una grande intuizione di Giovanni Paolo II. Il lavoro che ha fatto con l’esegesi
della Parola di Dio ha aperto numerosi cuori», ha detto l’arcivescovo di Buenos
Aires ricordando il grande lavoro nella complessa Diocesi di Milano che lo rese
il primo catechista ed un punto di riferimento importante per credenti e non
credenti e la dignità e la diligenza con cui ha saputo affrontare la malattia e
rinunciare ad alte cariche (forse un riferimento anche a quel famoso Conclave) «perché
era un uomo non aggrappato alle cariche».
Il continente latinoamericano saluta oggi l’anima
progressista e dialogante della Chiesa Cattolica, l’uomo che supportava il
papato terzomondista o del Nuovo Mondo, che sostenne Hummes nella sua tesi sul
celibato clericale che destò scandalo nella Curia Romana, che apprezzò
apertamente Romero, ancora scomodo per parte della Chiesa, definendolo un
vescovo educato dal popolo, perché dal popolo aveva tratto forza ed insegnamento
per attuare appieno i principi della Bibbia e la missione di Cristo.
Sulla Teologia della Liberazione ebbe a dire «I cristiani che
adottano "l’opzione a favore dei poveri" di Gesù devono ancora oggi
aspettarsi persecuzioni. Dai teologi della liberazione in Sudamerica, agli
operatori sociali nei Paesi del benessere. Gesù ha dato la vita per la
giustizia. Si è schierato dalla parte dei poveri, dei sofferenti, dei
peccatori, dei pagani, degli stranieri, degli oppressi, degli affamati, dei
carcerati, degli umiliati, dei bambini e delle donne. Chi si comporta così dà
fastidio». Un emblema della sua vita. E non sono pochi oggi quelli che guardano
a quel 2005 come un’occasione irripetibile e pensando al Papa che non fu, oggi
pregano con un singhiozzo in più.
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